I nuovi analfabeti
Sette italiani su dieci non hanno un livello di competenze necessarie per interagire in modo efficace nel ventunesimo secolo, cioè sono “analfabeti funzionali”. Purtroppo in Italia, secondo recenti statistiche, il numero di analfabeti funzionali è altissimo. Ce lo dice “Adults skills”, pubblicato dall’OCSE/PIAAC nel rapporto sulle competenze degli adulti tra i 16 e i 65 anni.
Chi sono, allora, i “nuovi analfabeti”?
Non sono analfabeti totali, perché hanno ricevuto una minima istruzione ed educazione.
Sono giovanissimi che stanno a casa dei genitori senza lavorare né studiare: i cosiddetti NEET (acronimo inglese di Not (engaged ) in Education, Employment or Training).
Oppure sono adulti con più di 55 anni: sono poco istruiti, svolgono professioni non qualificate e credono all’opinione di chiunque … senza prima verificare.
Oggi, è considerato “analfabeta” chi sa leggere frasi semplici e brevi. Sono persone capaci di leggere e scrivere, ma che hanno difficoltà a comprendere testi o operazioni di calcolo semplici e sono privi di molte delle competenze utili nella vita quotidiana, comprese quelle legate alle nuove tecnologie, precisa Simona Mineo, ricercatrice INAPP, nonché responsabile nazionale dei dati dell’indagine OCSE-PIAAC in Italia.
Si parla anche di “analfabetismo di ritorno”, in quanto “se non sono coltivate, vengono perse anche quelle competenze minime acquisite durante le fasi di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”.
Cosa si può fare?
Sono del 22 maggio 2018 le ultime Raccomandazione del Consiglio europeo relative alle competenze chiave per l'apprendimento permanente, che affermano che “La collaborazione tra contesti educativi, formativi e di apprendimento a tutti i livelli può rivelarsi decisiva per migliorare la continuità dello sviluppo della competenza dei discenti durante l'intero corso della vita e per lo sviluppo di approcci innovativi.”