Non basta cambiare l’esame di stato per cambiare la scuola
Vi è una stretta relazione tra la pratica didattica e le modalità di valutazione. L’approccio metodologico previsto dal nuovo esame ribadisce la necessità di superare i confini disciplinari e acquisire competenze utili ad affrontare i nuovi e complessi contesti socio-professionali attraverso l’apporto integrato delle varie discipline.
Secondo il D.M. 37 del 18 gennaio 2019, il nuovo esame di stato ha la finalità di “accertare il conseguimento del profilo educativo, culturale e professionale della studentessa o dello studente, previsto nei Regolamenti delle superiori dal 2010.
Profilo culturale che richiede che lo studente “acquisisca conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte personali”. (art. 2 comma 2 del Regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei...”).
Le nuove prove di esame non mirano, quindi, solo alla verifica dei risultati di apprendimento nelle discipline studiate, all’accertamento tradizionale e mnemonico dei saperi disciplinari, ma, soprattutto, a valutare le competenze trasversali necessarie per la costruzione del percorso di vita individuale.
Pertanto, ogni istituzione scolastica di secondo grado, con l’inizio dell’anno scolastico, proprio nella prospettiva della nuova struttura dell’esame appena sperimentato, dovrà interrogarsi su quale possa essere un processo di insegnamento/apprendimento significativo e utile per conseguire gli obiettivi formativi prescelti attraverso l’intreccio tra i linguaggi disciplinari... e, quindi, pensare a riconsiderare alcune modalità di riprogettazione didattica delle classi quinte, se non addirittura del triennio.
B. Urdanch