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BES: i fatti fondamentali


Chi sono i BES? Che sfide pongono alla scuola e alla pratica dell'istruzione? Quand'è che la legislazione relativa all’integrazione scolastica ha iniziato ad occuparsene? Daniele Dami e Sabrina Bertini introducono il tema dei bisogni educativi speciali partendo dalla spiegazione del concetto di BES. L'articolo completo si trova in allegato

 

Il concetto di Bisogno Educativo Speciale

Le classi della scuola italiana si stanno da tempo delineando sempre più come ambienti di insegnamento/apprendimento altamente diversificati al loro interno. La presenza frequente di alunni migranti non italofoni con vari livelli di alfabetizzazione, di alunni disabili, con disturbi specifici di apprendimento oppure con complesse difficoltà di ordine psicologico, psicoaffettivo, comportamentale o socioeconomico, oltre ad alunni che naturalmente posseggono i più differenziati stili cognitivi e intelligenze, pone necessariamente i docenti di fronte a tipologie di apprendenti che possono mostrare, in un qualsiasi momento della loro crescita, esigenze educative e didattiche peculiari alle quali occorre rispondere con metodologie, strumenti e materiali adeguati, mirati ed efficaci.
In questo senso, la recentissima normativa scolastica italiana ha fatto proprie le riflessioni elaborate, perlopiù in area anglosassone, in ambito pedagogico, psicologico e didattico già da alcuni decenni, e ha fornito un quadro epistemologico e metodologico del suddetto stato dell’arte introducendo, sulla base del termine inglese Special Education Needs, il concetto di “bisogni educativi speciali” (BES). L’acquisizione di tale termine e le implicazioni che ne derivano hanno testimoniato un eccezionale passo in avanti compiuto dalla nostra legislazione relativa all’integrazione scolastica (notoriamente più innovatrice rispetto agli altri Paesi europei) e hanno portato a un ripensamento del ruolo della scuola e dell’istruzione nei confronti sia delle differenze individuali di ciascun alunno sia di qualsiasi tipo di difficoltà/ disturbo che ogni alunno può evidenziare durante il proprio lungo percorso formativo. Un punto di riferimento importante per l’elaborazione del concetto di BES è stata la classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tra il 2002 e il 2007. Questo modello abbandona il concetto di salute tradizionalmente inteso come assenza di malattia, per accogliere un nuovo assunto epistemologico che vede la salute come un funzionamento globale, sistemico e complesso dell’individuo risultante dall’interazione di diversi fattori, quali condizioni fisiche, strutture e funzioni corporee, attività personali, partecipazione sociale, contesti ambientali e personali. In quest’ottica si tenta quindi di superare la dicotomia normalità/patologia (tradizionalmente sbilanciata decisamente verso il primo concetto) per parlare piuttosto di un continuum fra funzionamento equilibrato e funzionamento instabile dell’individuo nel quadro dei fattori che abbiamo elencato precedentemente. In linea con ciò, è stato definito BES qualsiasi esigenza in ambito apprenditivo o educativo che emerge in età evolutiva (entro i primi 18 anni di vita) nel momento in cui uno o più dei suddetti fattori viene a mancare oppure evidenzia delle criticità o dei deficit, siano essi di natura transitoria o permanente.

 

La cultura dell’inclusione

Adottare la prospettiva dei BES significa accogliere nella scuola la pluralità delle sfide educative che il mondo attuale chiede di affrontare. Gli odierni scenari culturali, sociali, politici e tecnologici diventano sempre più complessi, e la scuola e i suoi attori sono dunque chiamati ad adempiere a compiti che, solo poco tempo fa, esulavano dalle proprie competenze e a rispondere a questioni nuove: la globalizzazione, la diffusione delle nuove tecnologie, la crisi economica e lavorativa mondiale, i cambiamenti etici e valoriali, la trasformazione dei concetti di genitorialità, di famiglia, di società e di relazioni, il multiculturalismo, i nuovi analfabetismi e le nuove forme di emarginazione e devianza, il rapido mutare delle forme di conoscenza e di trasmissione della stessa. Nel momento in cui gli alunni si trovano ad affrontare ed elaborare questa molteplicità di fattori in maniera totalmente diversa e soprattutto nuova, è compito degli educatori riconoscere, affrontare con strumenti validi e valorizzare le loro differenze di funzionamento individuali, nel rispetto della loro psico-fisicità e delle loro dinamiche socio-affettive, educative e di apprendimento, con la consapevolezza che il successo formativo deve essere costituzionalmente garantito per tutti.
La scuola italiana, come già ribadito, ha fatto dell’integrazione scolastica il proprio cavallo di battaglia rispetto alle altre nazioni europee. Tuttavia, se integrare significa semplicemente accogliere in linea teorica le diversità, le disabilità, le difficoltà, i disturbi nel contesto di una (presunta) normalità ma, in pratica, si continua a considerarli tali in termini biomedici o in virtù di risorse e didattiche che la scuola non può (o spesso non vuole) impiegare per affrontarli, allora si rende necessario fare un passo in avanti verso una cultura dell’inclusione piuttosto che dell’integrazione, dove le differenze e le difficoltà individuali, di qualsiasi genere esse siano, siano considerate come risorsa all’apprendimento e non come problemi da superare e come punto di partenza per una più equa partecipazione di tutti gli alunni alla vita della propria comunità educativa.
Una cultura dell’inclusione nella scuola può essere perseguita attraverso:
• l’attenta e professionale osservazione del funzionamento globale degli alunni, delle loro potenzialità e delle loro difficoltà;
• l’adozione di atteggiamenti di ascolto attivo, di apertura empatica, di comprensione verso la diversità;
• la creazione di contesti di insegnamento/apprendimento emotivamente sostenenti e rispettosi dell’individualità di ognuno;
• la reale e fruttuosa condivisione di progettualità e di pratiche educative;
• il perseguimento di obiettivi coerenti, concreti, realizzabili;
• l’elaborazione di metodologie e percorsi educativo-didattici sia comuni sia individualizzati/ personalizzati;
• un’organizzazione scolastica rispondente ai bisogni (spazi, tempi, risorse, politiche educative);
• la formazione e l’aggiornamento continui;
• l’alleanza con il territorio e con le agenzie educative extrascolastiche;
• la presenza di personale specializzato in interventi di tipo riabilitativo, terapeutico, assistenziale;
• la documentazione e la diffusione di buone pratiche didattiche e formative.
Tutti questi comportamenti possono contribuire a rispondere in modo inclusivo alla presenza di BES nella scuola solo se sottostanno al principio generale della “speciale normalità”. Occorre cioè che il modus operandi normale e quotidiano del docente prenda coscienza dei punti di forza umani, metodologici, relazionali che intrinsecamente gli sono propri e si arricchisca di quella specialità che è fatta di senso della responsabilità etica e professionale, di competenza, di tecnica, di formazione.

 

Tipologie di alunni con BES

La Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 (Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica) prevede che gli alunni con BES possano essere suddivisi in tre macrocategorie:
1) Disabilità: rientrano in questo gruppo tutti gli alunni che presentano una difficoltà certificata ai sensi della legge 104/92 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), vale a dire tutti coloro che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione (ritardo mentale, disturbi generalizzati dello sviluppo, altre gravi patologie della struttura e della funzione corporea).
2) Disturbi evolutivi specifici: questa macroarea comprende tutte quelle difficoltà che non sono o che non possono essere certificate dalla legge 104/92. Sono compresi in questo gruppo:
• i disturbi specifici di apprendimento (DSA): sono quei disturbi di natura neurobiologica che alunni con intelligenza e caratteristiche psicofisiche nella norma possono mostrare in quelle abilità specifiche degli apprendimenti scolastici, quali la lettura, la scrittura o il calcolo; sono riconosciuti dalla legge 170/2010 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico);
• i disturbi specifici del linguaggio;
• i deficit delle abilità non verbali (disturbi della coordinazione motoria, disprassia, disturbo non verbale);
• i deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività (DDAI, o secondo formula inglese ADHD);
• i disturbi dello spettro autistico lieve (non compreso nelle casistiche previste dalla legge 104/92);
• il funzionamento intellettivo limite (o borderline).
3) Svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale: si tratta sicuramente di un’area molto ampia ed eterogenea dei BES, nella quale sono compresi tutti quegli alunni che presentano difficoltà in ambito emozionale, psicoaffettivo, comportamentale, motivazionale, oppure legate a complessi vissuti di ordine psicofisico, familiare, socioeconomico o linguistico-culturale.


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